lunedì 8 febbraio 2010

RISCALDAMENTO GLOBALE 3: io, ex catastrofista, ora smaschero i catastrofisti ( di Carlo Ripa di Meana)

Al diffuso allarme lanciato da coloro che sulla teoria del global warming fondano una approssimativa spiegazione di ciò che avviene e avverrà diffondendo simultaneamente aspettative antropocentriche su un ipotetico controllo del clima, sarebbe facile, ma riduttivo, contrapporre con scherno affermazioni nel segno del global cooling (raffrescamento globale).
Sono infatti le tesi del riscaldamento oggi destituite di ogni credibilità, vivendo ormai da mesi l’Europa geografica e l’emisfero nord del Continente americano una situazione di accentuato raffreddamento stagionale a cui ha fatto seguito la confutazione nei fatti degli annunci di scioglimento dei ghiacciai della calotta polare artica, estesa poi a quelli asiatici dell’Himalaja.
Tali smentite, avvenute nel corso della Conferenza di Copenhagen da parte dello stesso IPCC, hanno dunque, con qualche imbarazzato chiarimento, raffreddato i toni dei più catastrofismi climatologi.
Sempre da Copenhagen, o meglio dal cosiddetto climate gate, sono poi venute quelle evidenti prove che hanno reso chiaro a tutto il mondo che gli scienziato dell’Università britannica dell’East Anglia avevano manipolato i dati sulle variazioni della temperatura terrestre per rafforzare le tesi del forte riscaldamento del nostro Pianeta – studiosi, questi dell’East Anglia, tutti rei confessi di un gruppo di ricerca finanziato dall’ONU (IPCC) – fornendo così all’Herald Tribune del 14 dicembre 2009 l’occasione per rendere pubblica una documentazione impressionante di frodi nello sviluppo dell’energia rinnovabile eolica, in buona parte dell’Europa, compresa l’Italia. A tutto ciò si aggiunga poi che il 20 dicembre, sempre del 2009, il Daily Telegraph ha presentato uno sconcertante rapporto sui conflitti d’interesse del dottor Rajendra Pachauri, lo stesso che aveva definito le obiezioni degli scienziati al global warming “frutto di una scienza voodoo”, evidenziando come questo non solo sia presidente della Commissione IPCC, ma che anche si presti quale consulente per numerose organizzazioni pubbliche e imprese industriali impegnate nella promozione delle energie rinnovabili, o per meglio dire della cosiddetta industria del clima.
Sono così emersi interessi di banche e fondi di investimento che soltanto in India valgono oltre trenta miliardi di euro e che dipendono dalle scelte e dalle decisioni della Commissione dell’ONU presieduta dallo stesso Pachauri.
Pertanto, più che una questione climatica è una questione di mercati contesi in cui di recente pare essersi immesso un free rider.
Su questo treno in corsa è infatti salito, senza pagare il biglietto, lo sceicco del terrore, che con un’abile mossa mediatica ha lanciato un seducente appello per tutti quei fondamentalisti verdi che odiano l’occidente, aprendo così i suoi ranghi anche ai laici miscredenti.
È infatti certamente non religiosa la ricetta proposta da Osama Bin Laden per far fronte ai cambiamenti climatici indotti dall’industria occidentale, in quanto viene proposta una economia che si discosti il più possibile da quella basata sul dollaro.
Avvertendo la difficoltà di condurre con profitto la sua guerra, Al Qaida decide dunque, con tale messaggio, di rafforzare la sua ideologia e al contempo di aprire un nuovo fronte bellico, quello economico. In tale contesto diviene di grande attualità ricordare l’analisi deontologico-politica svolta dal presidente della Repubblica ceca Vaclav Klaus nel suo saggio “Pianeta blu, non verde”, in cui si evidenzia come il problema più che ambientale o climatico sia incentrato sulle libertà che vengono erose da pretese fondate su false ideologie.
Con ciò si cerca pertanto di legittimare tutte quelle nuove imposte ambientali che difficilmente si armonizzerebbero con un sistema tributario incentrato sul principio di capacità contributiva. È infatti in questo momento il settore energetico-climatico unanimemente inteso dagli ordinamenti come una zona su cui esercitare una creatività fiscale e al contempo degno di canali di investimento privilegiati, sempre da un punto di vista fiscale, senza troppo preoccuparsi se queste tecnologie verdi siano effettivamente un buon affare e se siano questi i tempi migliori per schierarsi così drasticamente rispetto a un solo settore economico senza considerare il momento di generale e grave crisi dell’intero sistema economico.
Così facendo si è dunque inventata la green industy fatta, per il momento, di reti intelligenti (smartgrid), di surplus CO2 captato con flotte navali negli oceani, stoccato nelle miniere abbandonate e con una moltiplicazione ossessiva di professioni collegate alle energie rinnovabili, agli esperti, ai verificatori, ai bollini professionali, a persone addette ai controlli immaginate a milioni e milioni di unità quando, al momento, appaiono solo fiorenti clientele di piccoli numeri e di tecnologie ancora sperimentali, che dovrebbero prendere il luogo ed il posto, nell’occupazione e nella produzione, delle industrie metalmeccaniche, delle industrie siderurgiche, delle industrie carbonifere, delle industrie dell’edilizia e delle industrie automobilistiche, ecc. Scopo di questo intervento è dunque quello di far gettare la maschera a quei presunti innocenti fautori del problema climatico che soprattutto a livello europeo pare – con la nomina dell’ultima ora, per la prima volta nella storia della Commissione esecutiva dell’Unione europea, di un nuovo Portafoglio, Climate action, affidato alla Commissaria danese Conie Hedegaard – siano decisi di avanzare a occhi chiusi verso un secondo smacco, generando una gigantesca spesa per piegare il clima secondo le proprie interpretazioni, assolutamente opinabili, anzi, probabilmente infondate.

(parte tratta da “il Giornale” di lunedì 8 febbraio 2010 in collaborazione con Giulio Cozzolaro)
Ricerca effettuata dal consigliere comunale Celestino Mazzon