lunedì 4 gennaio 2010

RISCALDAMENTO GLOBALE: perché non decolla il Protocollo di Kyoto

150
il pianeta non si sta riscaldando da 150 anni come sostengono gli ambientalisti, ma da ben 400 anni

6.000
il pianeta fu più caldo di oggi in passato (ad esempio 6.000 anni fa e 1.000 anni fa). E' la riprova che l'uomo è "innocente"

31.000
Il numero degli scienziati che contestano i risultati a cui sono giunti gli studiosi finanziati dalla Fondazione Al Gore

700
Le pagine che compongono il rapporto "Climate change reconsidered" (Heartland Institute editore, 2009)


Quando Al Gore decise di assillare l’intera umanità coi rischi che essa correrebbe per via del riscaldamento globale antropogenico, il pezzo forte del suo ragionamento fu quello del consenso scientifico: “science is settled”, amava dichiarare. Sappiamo con certezza che l’uomo non centra.
Poco più di un secolo fa il consenso scientifico era che gli atomi non potevano esistere perché la teoria elettromagnetica di Maxxwell prevedeva la caduta degli elettroni sul nucleo. E fino a poco tempo fa il consenso scientifico era che l’ulcera fosse un disturbo di origine psicosomatica, finché non si scoprì che è causata da batteri. La scienza si fonda solo sui fatti e solo questi sono il giudice ultimo di qualunque affermazione che voglia essere scientifica. Essa è sempre provvisoria fino a che essa non venga falsificata da altri fatti e sostituita da un’altra affermazione che spieghi sia i nuovi fatti sopravvenuti, che quelli passati.
Nel caso del preponderante contributo umano al clima, esso fu legittimamente congetturato per il fatto che la CO2 è un gas serra e che il pianeta è, oggi, più caldo di 150 anni fa, cioè dall’inizio dell’era industriale.

La congettura è stata abbandonata quando si è scoperto che:
  1. il pianeta si sta riscaldando non da 150 anni, ma da 400 anni;
  2. il pianeta fu più caldo di oggi in passato (ad esempio 6000 anni fa e 1000 anni fa);
  3. non vi è alcuna correlazione temporale tra le emissioni antropiche – esponenzialmente e senza sosta crescenti – e le temperature globali – la cui crescita ha subito inversioni (1940-75) e arresti (dal 1998 a oggi);
  4. non vi è alcuna correlazione spaziale tra la teoria e le misure: quella prevede un accentuato riscaldamento della troposfera equatoriale a 10 Km dalla superficie terrestre, queste registrano, lassù, un rinfrescamento. Chi oggi insiste sul preponderante contributo antropico al riscaldamento globale non può appellarsi al fatto che vi sarebbe un altro milione di persone a insistere, ma deve rispondere ai fatti, di cu ai punti 1) e 4).


L’organismo internazione NIPCC (Nongevernmental International Panel on Climate Change) si è dato lo stesso compito dell’IPCC e cioè di valutare criticamente la letteratura esistente sulle responsabilità umane sul clima e che è giunto a conclusioni opposte, e cioè: la natura, non l’attività dell’uomo, governa il clima. Quello dell’IPCC – il cui Summary è disponibile anche in italiano – è un dettagliato e corposo rapporto di oltre 700 pagine (Climate change reconsidered, Heartland Insitute editore, 2009) che si conclude con la dichiarazione della inconsistenza della congettura secondo cui l’uomo sarebbe responsabile dell’attuale riscaldamento globale. Quella dichiarazione è sottoscritta da oltre 31.000 scienziati, di cui oltre 3.800 geologi e scienziati dell’atmosfera, quasi 1.000 matematici o statistici, oltre 5.800 fisici, oltre 4.800 chimici, quasi 3.000 biologi, oltre 3.000 medici e oltre 10.000 ingegneri.
Primo firmatario della petizione è Frederick Seitz che, recentemente scomparso, fu presidente della American Physical Society, prima, e della National Accademy of Sciences americana, poi.
(Franco Battaglia – Il Giornale 4 settembre 2009).


Chi l’IPCC e i rapporti sul clima
L’IPCC (organismo dell’ONU chiamato a “stabilire, in modo completo, oggettivo, aperto e trasparente, le informazioni scientifiche, tecniche e socioeconomiche rilevanti per comprendere le basi scientifiche dei rischi dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane”) ritiene che il riscaldamento globale della Terra vada attribuito per il 92,5% ai gas serra prodotti dall’uomo, in primis all’anidride carbonica, e per il 7,5% al Sole. Tutto sbagliato. Semmai sembrerebbe vero il contrario: è il Sole che modifica il clima e surriscalda il pianeta, non l’anidride carbonica e le schifezze emesse dai veicoli e dalle industrie, che incidono sull’innalzamento delle temperature in misura marginale. Quindi la pretesa del Protocollo di Kyoto di abbassare del 5% entro il 2012 i valori di anidride carbonica rispetto alle emissioni che si registravano nel 1990, con la speranza che le colonnine di mercurio dei termometri si comportino di conseguenza, non è soltanto ardua: è soprattutto inutile. Perché il Sole se ne impipa altamente delle umane decisioni.
Già nelle premesse si era deciso che le attività umane influenzano il clima prima ancora di cominciare ad operare.
Nel suo primo Rapporto (1990), lacunoso nell’ignorare gli effetti del vapore acqueo, delle nuvole e del sole sul clima della Terra, e ignorando gli scienziati che sottolineavano la lacuna, l’IPCC prediceva ciò che i politici dell’ONU volevano predicesse: il disastro planetario come conseguenza dell’immissione in atmosfera della CO2.
Il secondo Rapporto (1996) si macchiò addirittura dell’infamia di gravi alterazioni nella stesura del Riassunto che fu poi dato in pasto all’opinione pubblica, tant’è che diversi scienziati dello stesso IPCC protestarono (memorabile è la lettera di denuncia, pubblicata sul Wall Street Journal, di Frederick Seitz, presidente della Società di fisica e dell’Accademia nazionale delle scienze americane).
Il terzo Rapporto dell’IPCC è invece memorabile per aver fatto proprio e diffuso il famoso grafico “a mazza di hockey” delle temperature medie globali, prodotto dalla ricerca di un inesperto studente, tale Michael Mann (poi subito gratificato con incarichi spropositati al proprio curriculum), il quale aveva cancellato sia il periodo caldo medioevale, che la successiva piccola era glaciale, facendo apparire le temperature attuali le più elevate del millennio (si è già accennato che per un paio di secoli attorno l’anno Mille il pianeta fu più caldo di adesso).
Quel grafico indusse l’approvazione operativa del Protocollo di Kyoto, ma fu subito dimostrato essere un falso scientifico, tant’è che il quarto Rapporto dell’IPCC (2007) neanche lo cita più.
Il terrore diffuso dai rapporti dell’IPCC ha attirato l’attenzione dei media, che ha incrementato il flusso di risorse, che a sua volta ha foraggiato la propaganda politica in un vortice senza fine. Si sono creati nuovi posti di lavoro occupati da una pletora di persone prive di alcuna competenza scientifica, ma che traggono così di che vivere. Il vortice è oggi ingigantito dagli interessi per la diffusione delle tecnologie eoliche e fotovoltaiche, ottime quali fonti alternative, ma di scarso valore nella produzione di energia elettrica.

“Climagate”, un affare scottante a Copenaghen
Così è ormai chiamata la vicenda delle mail trafugate dagli archivi dei santoni del global warming. La più grande truffa scientifica mai realizzata e che a stento gli scienziati coinvolti, tutti facenti capo all’Ipcc, il Panel dell’Onu sui mutamenti climatici di origine antropica, stentano a tenere sotto controllo. Tanto che l’Onu stessa ha aperto una indagine sui dati truccati dagli scienziati. Essi manipolavano i dati del cambiamento climatico per rendere più efficace la minaccia del riscaldamento globale provocato dall’uomo. Di questo sono stati accusati gli scienziati dell’University of East Anglia Climatic Research Unit (Cru) dopo che, in vista del congresso di Copenaghen, alcuni hacher hanno pubblicato sul web una serie di e-mail rubate con degli stralci di conversazioni che proverebbero le malefatte di questi esperti climatici.
Tre sono le verità che emergono dalle e-mail trafugate e che hanno in modo particolare colpito gli esperti del settore di tutto il mondo:
  1. il gran numero di inquietanti messaggi che mostrano come il professor Phil Jones, direttore del Cru e i suoi colleghi abbiano per anni fatto ricorso ai trucchi più subdoli per evitare di rendere noti i loro fraudolenti metodi di indagine, ciò è contrario alle regole di ogni comunità scientifica;
  2. il più grave risultato è che da quei documenti risulta evidente come gli scienziati abbiano contraffatto i dati alterandoli al computer con l’uso di sofisticate applicazioni per far in modo che le temperature del passato risultassero costantemente più basse di quelle presenti, e ciò per avvalorare la tesi che sia in corso una accelerazione del riscaldamento del pianeta;
  3. l’inquietante sorpresa concerne i modi senza scrupoli con i quali questi accademici zittivano qualsiasi esperto mettesse in dubbio i dati climatici ottenuti con quei metodi furfanteschi, non soltanto rifiutando di rivelare gli elementi sui quali si basano, ma anche discreditando e mettendo al bando qualsiasi giornale avesse avuto l’ardire di pubblicare le critiche o i motivi di scetticismo degli ambienti scientifici non allineati con il Cru.

Nessun stupore se a Copenaghen nessun capo di Stato sarà disposto a prendere impegni vincolanti (e immensamente costosi) per limitare le emissioni.

A dirlo è il prof. Nicola Scafetta, uno scienziato di 39 anni originario di Gaeta, che nel 1998, dopo essersi laureato in fisica a Pisa, se n’è andato a continuare i suoi studi in un’Università del Texas e poi si è trasferito a far ricerche e ad insegnare al Free-electron laser laboratory della Duke University, uno dei più prestigiosi atenei degli Stati Uniti, fondato nel 1838 a Durham, nella Carolina del Nord.
Scafetta è membro dell’ACRIM (Active cavity radiometer irradiance monitor), centro mondiale di studio sull’irradianza solare, associato alla Nasa, l’ente spaziale americano.
Insomma, un “cervello fuggito all’estero” probabile premio nobel per la fisica nel 2035.
Lo scienziato italiano è l’unico al mondo ad aver elaborato una previsione scientifica sull’evolversi delle temperature planetarie da qui al 2100. se le temperature seguiranno la sua previsione, continueranno a diminuire fino al 2030 per poi aumentare di nuovo fino al 2060. ma già dal 2035 si potrà dire se si saranno comportate o no “alla Scafetta”
Finora gli scienziati hanno presentato scenari che stanno alla scienza quanto i “se” stanno alla storia. Infatti, Scafetta ha simulato sistemi fisiologici per la diagnosi di ipossia e iperossia in pazienti a rischio (diminuzione ed aumento concentrazione di ossigeno nei tessuti del corpo umano) ed ha applicato gli stessi modelli statistici a sistemi complessi non lineari per scoprire le influenze del Sole e dell’intero sistema solare sul clima terrestre.
Secondo l’IPCC il nostro pianeta rischia di raggiungere un punto di non ritorno se non si interrompe al più presto le emissioni di CO2. Scafetta afferma che la terra, nel periodo cosiddetto Cambriano, 500 milioni di anni fa, ha avuto occasione di raggiungere questo punto di non ritorno, quando la concentrazione della CO2 fu non di 1,2 volte superiore ai livelli preindustriali, bensì 20 volte più elevata.
Le conclusioni avventate dell’IPCC si fondavano su modelli climatici chiamati General circulation models, che sono stati usati per fare proiezioni nel corso del XXI secolo, assumendo diversi scenari possibili. Questi modelli furono sviluppati prima del 2004, quando si credeva che la temperatura del pianeta fosse rimasta quasi costante nei mille anni precedenti all’era industriale. La credenza ebbe origine da una analisi statistica effettuata nel 1998 da uno studioso, Michael Mann. Oggi sappiamo che è errata, anche perché i cambiamenti climatici sono fortemente condizionati dalle nuvole, dal vapore acqueo che è in assoluto il principale gas serra, e dalle correnti oceaniche e i modelli attuali non tengono correttamente conto di questi contributi. I modelli hanno predetto un riscaldamento continuo della Terra in concomitanza con una continua crescita di CO2 durante gli ultimi 10 anni, ma questo riscaldamento non si è avuto né negli anni dal 1940 al 1975, cioè in pieno boom industriale, né negli ultimi 8 anni: in entrambi i periodi si è osservato un raffreddamento del clima, non un riscaldamento. Infine, detti modelli predicono un riscaldamento piuttosto vistoso nella media e alta troposfera, a circa 10 Km sopra l’equatore, ove le misurazioni satellitari degli ultimi trent’anni registrano un rinfrescamento.
Che cosa ha causato il riscaldamento della Terra nel trentennio 1910-1940, quando le emissioni di gas serra provocate dall’uomo erano pressoché irrilevanti? Si scoprirebbe che quello fu un periodo di forte crescita dell’attività solare, al pari del ciclo di circa tre secoli noto ai geologi come “periodo caldo medievale”. Mentre un periodo di scarsa attività solare, chiamato dagli astronomi “minimo di Maunder”, fu quello dei tre secoli attorno al 1600, noto ai geologi come “piccola era glaciale”.
Scafetta spiega che i modelli dell’IPCC, nel tentativo di contemplare la massima quantità di informazioni possibili, hanno incluso un numero enorme di parametri liberi, con i quali si può ottenere qualunque risultato.
Il grande matematico John von Neumann usava dire: “Datemi 4 parametri e vi simulo al calcolatore un elefante; datemene 5 e gli faccio muovere la proboscide”.
I modelli climatici, sebbene contengano centinaia di parametri, simulano malissimo la realtà. Scafetta ha usato un criterio chiamato fenomenologico, partendo direttamente dai dati reali sul clima disponibili sin dal 1850 e facendone una dettagliata analisi statistica.
L’esito notato è stata la presenza di cicli: i più importanti sono un ciclo di 60 anni e uno di 20. alla domanda della loro origine, la risposta è stata che i cicli di 60 e di 20 anni sono due cicli naturali, che influenzano tutto il sistema solare: il periodo sinodico di Giove e Saturno, precisamente 20 anni, e il periodo dell’orbita combinata di Giove e Saturno, precisamente 60 anni. Giove e Saturno con il loro movimento attorno al Sole producono onde gravitazionali e magnetiche, che investono tutto il sistema solare e fanno letteralmente “ballare” anche il Sole e la Terra: i due maggiori periodi di queste onde sono proprio 20 e 60 anni.
Per spiegare elementarmente i modelli usati dal prof. Scafetta si può riassumere il seguente esempio: si immagini di prevedere i movimenti quotidiani di una persona per i prossimi giorni. Si costruisce un modello che contenga decine di parametri liberi: lo stato di salute dell’esaminando e dei suoi familiari, il traffico, le condizioni meteorologiche, gli interessi, il lavoro, ecct. E usare il modello per prevederne i movimenti futuri in rapporto al variare dei parametri, cioè al variare degli scenari.
Oppure, studiarne i movimenti effettivi degli ultimi 100 giorni, analizzarli statisticamente in modo da enucleare gli elementi di ripetibilità che consentano di prevederne i movimenti degli ultimi 1000 giorni.
Se la previsione eseguita sul passato riproduce accuratamente questo stesso passato, ecco che allora si può usare il modello per avanzare una previsione vera sul futuro.
Questo modello è stato usato dal professore sul Sole: utilizza due informazioni statistiche presenti nella temperatura degli ultimi 30 anni e degli ultimi 150 anni, ricostruendo così più di 400 anni di clima.
In sostanza l’accuratezza delle previsioni sul passato è sbalorditiva e questo è servito per fare una dettagliata previsione fino al 2100.


“Bisogna usare il metro della storia, non quello della cronaca: 500 milioni di anni fa la CO2 era 20 volte più elevata di oggi”

La CO2, pur non essendo inquinante, è un gas serra e quindi influenza il clima.
Ma attenzione, anche pochi centesimi di euro sono denaro e influenzano la nostra ricchezza. Il punto è che la CO2 antropogenica, cioè prodotta dall’uomo, non ha sul clima quell’influenza squassante e conclamata che ci vorrebbe far credere l’IPCC. La CO2 è una molecola indispensabile per la fotosintesi clorofilliana che fa vivere tutte le piante. Maggiore CO2 significa quindi più vegetazione rigogliosa, più raccolti, più cibo per uomini e animali. Meglio cercare di adattarsi ai cambiamenti climatici piuttosto che tentare di governarli. Il clima è veramente un gigante di proporzioni impensabili. Fa quello che vuole, ci schiaccia quando vuole e come vuole.
( tratto da una Intervista al prof. Nicola Scaletta del 25 ottobre 2009)

Il buco dell’ozono? La balla più grande degli anno ottanta

Ieri il male assoluto era il “buco dell’ozono”, oggi si chiama CO2. la bestia nera degli anni ottanta aveva nome Cfc, il clorofluorocarburo, gas che correva lungo le serpentine dei frigoriferi e usato, come propellente, nelle bombolette spray della lacca per capelli.
Anche in quel caso i catastrofici prefigurarono sfracelli cosmici: bombardata dai raggi ultravioletti l’umanità sarebbe andata a farsi benedire a meno che non fosse immediatamente tolto dal commercio il Cfc. Fu la volta del Protocollo di Montreal, considerato il padre scemo del Protocollo di Kyoto. Pressati dal movimento ambientalista e da schiere di “esperti”, più di novanta Paesi aderirono al bando e nel giro di poco tempo il clorofluorocarburo sparì dalla faccia della Terra, con immensa gioia dei produttori di Hcfc (idroclorofluorocarburo) e di Hfc (idrofluorocarburo), gas sostitutivi che non avrebbero danneggiato l’ozono. Fu dopo il bando che gli stessi “esperti” dovettero ammettere che il buco va e viene a suo piacere e non viene minimamente influenzato dalle attività dell’uomo.

Accordo di Copenaghen 2009

L’accordo firmato il 19 dicembre 2009 a Copenaghen è un documento di appena tre pagine: fissa come obiettivo il limite di riscaldamento del pianeta a 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Ma non prevede un limite preciso alle emissioni inquinanti di CO2 che provocano l’effetto serra.
L’accordo prevede anche aiuti di 30 miliardi di dollari su tre anni (rispetto ai 10 inizialmente previsti) per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici e sviluppare tecnologie eco-compatibili e una successiva crescita degli aiuti fino a 100 miliardi di dollari entro il 2020.
L’accordo di Copenaghen sarà ora operativo, anche se non vincolante, e aperto agli ulteriori sviluppi: appuntamento a Bonn tra sei mesi per ulteriori verifiche per poi firmare i risultati finali nel 2011 a Città del Messico.

E così i Paesi del Terzo Mondo intascheranno 30 miliardi di dollari per il triennio 2010-2012 (20 miliardi in più di quelli inizialmente previsti) e una successiva crescita degli aiuti fino a 100 miliardi di dollari entro il 2020. Nominalmente per contribuire a sviluppare tecnologie eco-compatibili, ma poi si sa come andrà a finire se si parla di Paesi spesso retti da regimi corrotti, dittatoriali e tutt’altro che trasparenti.

La domanda che sorge e che molti sospettano: di chi dobbiamo aver fiducia? dei catastrofisti ambientali che ingrassano i produttori di nuove fonti alternative? O dei commedianti che terrorizzano le popolazioni sulla morte del nostro pianeta, riempiendosi le tasche non di CO2, ma di dollari frutto di conferenze o per la creazioni di fondazioni che sostengono i produttori di fonti alternative, talvolta più inquinanti e più costose?

Un plauso va anche ai nostri amministratori, difensori dell’ambiente, che consentono a migliaia di mezzi di attraversare ogni giorno il territorio cittadino, infischiandosene delle proteste dei cittadini ed insensibili alle proposte alternative di buon senso suggerite.

(Ricerca effettuata dal consigliere comunale Celestino Mazzon)

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