Si è riaccesa, in questi giorni, la discussione tra laicità e religione, discussione questa figlia di quanto è accaduto al Parlamento europeo sulla elaborazione della Carta costituzionale dell’Europa.
L’ordine di un magistrato spagnolo di rimuovere il crocifisso dai luoghi pubblici nasce dalla rivendicazione sulla laicità dello Stato e la libertà nella scelta della propria confessione religiosa.
La Spagna, come peraltro l’Italia e molti altri Paesi europei, fonda la sua storia culturale sull’influenza della religione cattolica e, di conseguenza, intrisa di quello spessore teologico e filosofico della cristianità che sarebbe inutile voler negare. L’ostensione del crocifisso nei luoghi pubblici non vuol significare altro che il riferimento simbolico all’identità di ciascun paese europeo, quale comunità politica che nel cristianesimo e nella sua storia ritrova il senso delle proprie origini e della propria realtà civile testimoniata.
La presenza del crocifisso negli edifici pubblici ha anche il significato che le istituzioni incaricate di rendere giustizia, di impartire l’insegnamento del sapere o di amministrare la cosa pubblica sanno (o dovrebbero sapere) che esiste un “limite” al di là del quale esse non possono spingersi, al quale esse potranno aspirare ed eventualmente inspirarsi, ma che mai con le loro forze soltanto potranno eguagliare. D’altronde, ogni codice, carta costituzionale si ispira a questa filosofia.
Il fatto che alcuni intendono difendere la libertà rimuovendo il crocifisso è una offesa prima alle nostre radici, alla nostra cultura, alle nostre tradizioni e quindi a noi stessi.
Si tende giustificare il fatto che qualcuno tolga questo simbolo di cristianità solo per non sentirsi un “bigotto” o per paura di offendere coloro che professano altre religioni. Ci siamo mai chiesti se analoghi comportamenti si manifestano in quei paesi non europei, che, in fatto di religione, non la pensano come noi? Dobbiamo eliminare ogni simbolo (anche chiese) per accattivarsi le simpatie di chi non professa la nostra stessa religione?
Al di là di ogni credo, in Italia esistono leggi che fanno obbligo all’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici, e tutte evidenziano il fatto che la presenza dell’immagine del Crocifisso, in particolare nelle aule scolastiche, non possa costituire motivo di costrizione della libertà individuale a manifestare le proprie convinzioni in materia religiosa, poiché esso rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendentemente da specifica confessione religiosa.
In considerazione di quanto enunciato, il 19 ottobre 2006 avevo predisposto l’allegata lettera (a firma del Sindaco) con la quale si sollecitava l’allora dirigente scolastico di Quarto d’Altino a far rispettare l’obbligo dell’ostensione del crocifisso nelle aule scolastiche, visto che alcune insegnanti li avevano tolti giustificando il fatto che erano presenti in classe alunni extracomunitari di religione diversa. Ogni Paese ha il proprio ordinamento che va rispettato sia per gli autoctoni, che per gli immigrati. Non si può generalizzare sostenendo che gli italiani sono razzisti, anzi rispettano le preghiere dei mussulmani in qualunque luogo queste si materializzano, rispettano le preghiere dei calciatori di religione mussulmana che militano nei nostri campionati.
Paese che vai, usanze che trovi: devi rispettarle.
Quella lettera non è mai partita; è ovviamente un atto di debolezza, che presta il fianco a comportamenti di altrettanta debolezza e di falsa tolleranza. Quel simbolo esprime e garantisce la nostra libertà: “… davanti a Lui non c’è più né giudeo né greco, né maschio né femmina, né padrone né servo (S: Paolo)”.
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