Nel numero di Giugno 2010 di “Quarto d’Altino informa” Sindaco e compagnia hanno dato il massimo nello sputare fango contro l’attuale Governo, reo di rendere impossibile l’amministrazione del nostro Comune attraverso la manovra finanziaria estiva. Bisogna, innanzitutto, spiegare ai cittadini che la manovra economica è stata imposta dall’Europa per stabilizzare i conti dello Stato ed il patto di stabilità è una invenzione della stessa UE che obbliga gli enti pubblici locali (regioni, province e comuni) ad adottare misure economiche compatibili con l’equilibrio di bilancio.
Oggi, il Sindaco e l’assessore al bilancio scoprono i tagli ai trasferimenti e mettono in atto il “pianto del coccodrillo”, forse, per distogliere l’attenzione per le cose promesse e non fatte.
Piangono per i tagli, ma hanno indebitato il Comune con un leasing di 20 anni per l’acquisto del palazzo Ater (90.000,00 euro/anno indicizzati di spese correnti!!), oltre a circa 350.000,00 euro di anticipo; piangono per il buono pasto agli insegnanti che il Comune deve anticipare (ma lo Stato rimborsa); piangono perché la Regione chiede l’invio delle domande per i contributi delle borse di studio e dei libri di testo con il sistema informatico, anziché cartaceo (che spesso si perde); piangono per il congelamento dei rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici (l’assessore è dipendente pubblico!), non per sempre!. La crisi economica di oggi è senza precedenti. Nessuno, credo, simpatizza per i tagli del Governo, ma la cura sta producendo effetti positivi sul sistema Italia e sul rilancio del nostro sistema produttivo.
Dov’erano i nostri simpatici amministratori quando i Governi della sinistra tagliavano i trasferimenti (anch’essi pesanti)? E guai a parlarne.
lunedì 12 luglio 2010
mercoledì 12 maggio 2010
CRISI ECONOMICA: finalmente un po’ di verità
Ormai tutti sanno che la crisi internazionale fonda le proprie radici anche con l’entrata dell’euro, nel 1992, laddove una “errata valutazione lira-euro costò, alle riserve valutarie della Banca d’Italia, all’incirca una cifra pari a 50 miliardi di euro. Autori di tale geniale mossa furono Amato (Presidente del Consiglio) e Ciampi (ministro del Tesoro). A peggiorare la situazione economica contribuì anche l’allargamento affrettato a Paesi dalle finanze fragili, Grecia compresa. Oggi paghiamo quella scelta.
Chi lo dice? Azeglio CIAMPI in una intervista rilasciata al direttore della Stampa qualche giorno fa, il quale afferma che “oggi dovremmo chiederci se sarebbe stato meglio non essere di manica larga nell’annettere nuovi Stati. E se questa è la domanda, la risposta è senz’altro sì”.
Occorre ricordare chi furono gli artefici di questo capolavoro. Il trattato che accolse la Grecia nell’Unione monetaria, girando occhi e testa per far finta di non vedere che Atene non era pronta, è del 19 giugno 2000. Presidente della Repubblica lo stesso CIAMPI (il quale oggi ammette l’errore), Presidente del Consiglio Giuliano AMATO, Presidente della Commissione europea Romano PRODI, sponsor dell’allargamento totale dell’Europa. Quello stesso Romano Prodi che creò il nuovo posto del “Commissario europeo per l’allargamento”, affidandone la poltrona al socialista tedesco Gunther Verheugen, che diventerà poi noto per aver promosso a capo dipartimento la sua fidanzata con relativo stipendio di 11.000,00 euro al mese.
Quello stesso Prodi che difese a spada tratta l’Eurostat (organo che avrebbe dovuto convalidare i conti degli Stato membri). Fu sempre Prodi, insieme ad un altro esponente della sinistra europea, lo spagnolo Pedro SOLBES, che analizzarono gli stiracchiati conti della Grecia che chiedeva l’ammissione alla moneta unica, sempre nel 2000 e prima ancora di guardare i conti si premurò di festeggiare il nuovo arrivo affermando che “un’area euro allargata era un’ottima cosa sia per i membri della prima ora che per i nuovi arrivati”. Adesso scopriamo, grazie a Ciampi, che quella mossa non fu poi così geniale.
(tratto dal Giornale, lunedì 10 maggio 2010, pag. 7)
A nulla servirono gli allarmi lanciati soprattutto dalla Lega Nord, non tanto per apparire “euroscettica”, ma per metter in guardia i possibili guai che ne sarebbero derivati da scelte affrettate. Lo si è visto nelle nostre tasche cosa ha comportato l’allora errato scambio lira-euro.
Oggi la sinistra nostrana accusa, senza mezzi termini, le scelte economiche dell’attuale Governo in campo europeo, ma fanno spallucce sulle origini di danni da decine di miliardi. Anzi, peggio ancora, cercano solidarietà con il mondo cattolico per convincere che la crisi internazionale (che ha avuto riflessi pesanti sulla nostra economia) sia stata ideata da Tremonti e soci per far passare pesanti riforme a danno dei più deboli, cioè quelli che oggi soffrono per il posto di lavoro, per i pensionati che non hanno risorse sufficienti per far quadrare il proprio bilancio familiare, per i disoccupati, per i giovani in cerca di occupazione.
Di fronte a questa classe politica europea val bene il detto che circola“meglio euroscettici, che eurocoglioni”.
Chi lo dice? Azeglio CIAMPI in una intervista rilasciata al direttore della Stampa qualche giorno fa, il quale afferma che “oggi dovremmo chiederci se sarebbe stato meglio non essere di manica larga nell’annettere nuovi Stati. E se questa è la domanda, la risposta è senz’altro sì”.
Occorre ricordare chi furono gli artefici di questo capolavoro. Il trattato che accolse la Grecia nell’Unione monetaria, girando occhi e testa per far finta di non vedere che Atene non era pronta, è del 19 giugno 2000. Presidente della Repubblica lo stesso CIAMPI (il quale oggi ammette l’errore), Presidente del Consiglio Giuliano AMATO, Presidente della Commissione europea Romano PRODI, sponsor dell’allargamento totale dell’Europa. Quello stesso Romano Prodi che creò il nuovo posto del “Commissario europeo per l’allargamento”, affidandone la poltrona al socialista tedesco Gunther Verheugen, che diventerà poi noto per aver promosso a capo dipartimento la sua fidanzata con relativo stipendio di 11.000,00 euro al mese.
Quello stesso Prodi che difese a spada tratta l’Eurostat (organo che avrebbe dovuto convalidare i conti degli Stato membri). Fu sempre Prodi, insieme ad un altro esponente della sinistra europea, lo spagnolo Pedro SOLBES, che analizzarono gli stiracchiati conti della Grecia che chiedeva l’ammissione alla moneta unica, sempre nel 2000 e prima ancora di guardare i conti si premurò di festeggiare il nuovo arrivo affermando che “un’area euro allargata era un’ottima cosa sia per i membri della prima ora che per i nuovi arrivati”. Adesso scopriamo, grazie a Ciampi, che quella mossa non fu poi così geniale.
(tratto dal Giornale, lunedì 10 maggio 2010, pag. 7)
A nulla servirono gli allarmi lanciati soprattutto dalla Lega Nord, non tanto per apparire “euroscettica”, ma per metter in guardia i possibili guai che ne sarebbero derivati da scelte affrettate. Lo si è visto nelle nostre tasche cosa ha comportato l’allora errato scambio lira-euro.
Oggi la sinistra nostrana accusa, senza mezzi termini, le scelte economiche dell’attuale Governo in campo europeo, ma fanno spallucce sulle origini di danni da decine di miliardi. Anzi, peggio ancora, cercano solidarietà con il mondo cattolico per convincere che la crisi internazionale (che ha avuto riflessi pesanti sulla nostra economia) sia stata ideata da Tremonti e soci per far passare pesanti riforme a danno dei più deboli, cioè quelli che oggi soffrono per il posto di lavoro, per i pensionati che non hanno risorse sufficienti per far quadrare il proprio bilancio familiare, per i disoccupati, per i giovani in cerca di occupazione.
Di fronte a questa classe politica europea val bene il detto che circola“meglio euroscettici, che eurocoglioni”.
mercoledì 3 marzo 2010
VIA PASCOLI: come nascondere la verità
Siamo alle solite. Ormai stona il ritornello del Sindaco Loredano Marcassa sul sottoscritto: “Il consigliere Mazzon nei miei confronti sta solo evidenziando tanto odio, forse dovrebbe fare un serio esame di coscienza”. (dal Gazzettino del 02.03.2010).
Premesso che “l’odio” è un sentimento che non mi appartiene (dovrei averne per come sono stato trattato), è bene che i cittadini (quei pochi che ancora non conoscono la vicenda) sappiano tutta la verità.
Fin da settembre 2008, in Consiglio comunale – in sede di approvazione del progetto -, abbiamo sostenuto che far passare il traffico su Via Pascoli all’apertura del Passante di Mestre sarebbe stata una vera iattura che avrebbe danneggiato la qualità ambientale di quella Via e di quelle del centro del capoluogo. In cambio dell’approvazione unanime del Consiglio, il Sindaco aveva promesso che avrebbe risolto in maniera positiva quanto richiesto. L’8 febbraio 2009 è stato aperto il Passante e – in assenza della realizzazione della circonvallazione del Centro – il traffico autostradale è stato scaricato su Via Pascoli.
Da quella data i cittadini hanno cominciato, giustamente, a protestare e a chiedere il rispetto per la propria qualità della vita, coinvolgendo anche il sottoscritto.
Premesso che “l’odio” è un sentimento che non mi appartiene (dovrei averne per come sono stato trattato), è bene che i cittadini (quei pochi che ancora non conoscono la vicenda) sappiano tutta la verità.
Fin da settembre 2008, in Consiglio comunale – in sede di approvazione del progetto -, abbiamo sostenuto che far passare il traffico su Via Pascoli all’apertura del Passante di Mestre sarebbe stata una vera iattura che avrebbe danneggiato la qualità ambientale di quella Via e di quelle del centro del capoluogo. In cambio dell’approvazione unanime del Consiglio, il Sindaco aveva promesso che avrebbe risolto in maniera positiva quanto richiesto. L’8 febbraio 2009 è stato aperto il Passante e – in assenza della realizzazione della circonvallazione del Centro – il traffico autostradale è stato scaricato su Via Pascoli.
Da quella data i cittadini hanno cominciato, giustamente, a protestare e a chiedere il rispetto per la propria qualità della vita, coinvolgendo anche il sottoscritto.
lunedì 8 febbraio 2010
RISCALDAMENTO GLOBALE 3: io, ex catastrofista, ora smaschero i catastrofisti ( di Carlo Ripa di Meana)
Al diffuso allarme lanciato da coloro che sulla teoria del global warming fondano una approssimativa spiegazione di ciò che avviene e avverrà diffondendo simultaneamente aspettative antropocentriche su un ipotetico controllo del clima, sarebbe facile, ma riduttivo, contrapporre con scherno affermazioni nel segno del global cooling (raffrescamento globale).
Sono infatti le tesi del riscaldamento oggi destituite di ogni credibilità, vivendo ormai da mesi l’Europa geografica e l’emisfero nord del Continente americano una situazione di accentuato raffreddamento stagionale a cui ha fatto seguito la confutazione nei fatti degli annunci di scioglimento dei ghiacciai della calotta polare artica, estesa poi a quelli asiatici dell’Himalaja.
Tali smentite, avvenute nel corso della Conferenza di Copenhagen da parte dello stesso IPCC, hanno dunque, con qualche imbarazzato chiarimento, raffreddato i toni dei più catastrofismi climatologi.
Sempre da Copenhagen, o meglio dal cosiddetto climate gate, sono poi venute quelle evidenti prove che hanno reso chiaro a tutto il mondo che gli scienziato dell’Università britannica dell’East Anglia avevano manipolato i dati sulle variazioni della temperatura terrestre per rafforzare le tesi del forte riscaldamento del nostro Pianeta – studiosi, questi dell’East Anglia, tutti rei confessi di un gruppo di ricerca finanziato dall’ONU (IPCC) – fornendo così all’Herald Tribune del 14 dicembre 2009 l’occasione per rendere pubblica una documentazione impressionante di frodi nello sviluppo dell’energia rinnovabile eolica, in buona parte dell’Europa, compresa l’Italia. A tutto ciò si aggiunga poi che il 20 dicembre, sempre del 2009, il Daily Telegraph ha presentato uno sconcertante rapporto sui conflitti d’interesse del dottor Rajendra Pachauri, lo stesso che aveva definito le obiezioni degli scienziati al global warming “frutto di una scienza voodoo”, evidenziando come questo non solo sia presidente della Commissione IPCC, ma che anche si presti quale consulente per numerose organizzazioni pubbliche e imprese industriali impegnate nella promozione delle energie rinnovabili, o per meglio dire della cosiddetta industria del clima.
Sono così emersi interessi di banche e fondi di investimento che soltanto in India valgono oltre trenta miliardi di euro e che dipendono dalle scelte e dalle decisioni della Commissione dell’ONU presieduta dallo stesso Pachauri.
Pertanto, più che una questione climatica è una questione di mercati contesi in cui di recente pare essersi immesso un free rider.
Su questo treno in corsa è infatti salito, senza pagare il biglietto, lo sceicco del terrore, che con un’abile mossa mediatica ha lanciato un seducente appello per tutti quei fondamentalisti verdi che odiano l’occidente, aprendo così i suoi ranghi anche ai laici miscredenti.
È infatti certamente non religiosa la ricetta proposta da Osama Bin Laden per far fronte ai cambiamenti climatici indotti dall’industria occidentale, in quanto viene proposta una economia che si discosti il più possibile da quella basata sul dollaro.
Avvertendo la difficoltà di condurre con profitto la sua guerra, Al Qaida decide dunque, con tale messaggio, di rafforzare la sua ideologia e al contempo di aprire un nuovo fronte bellico, quello economico. In tale contesto diviene di grande attualità ricordare l’analisi deontologico-politica svolta dal presidente della Repubblica ceca Vaclav Klaus nel suo saggio “Pianeta blu, non verde”, in cui si evidenzia come il problema più che ambientale o climatico sia incentrato sulle libertà che vengono erose da pretese fondate su false ideologie.
Con ciò si cerca pertanto di legittimare tutte quelle nuove imposte ambientali che difficilmente si armonizzerebbero con un sistema tributario incentrato sul principio di capacità contributiva. È infatti in questo momento il settore energetico-climatico unanimemente inteso dagli ordinamenti come una zona su cui esercitare una creatività fiscale e al contempo degno di canali di investimento privilegiati, sempre da un punto di vista fiscale, senza troppo preoccuparsi se queste tecnologie verdi siano effettivamente un buon affare e se siano questi i tempi migliori per schierarsi così drasticamente rispetto a un solo settore economico senza considerare il momento di generale e grave crisi dell’intero sistema economico.
Così facendo si è dunque inventata la green industy fatta, per il momento, di reti intelligenti (smartgrid), di surplus CO2 captato con flotte navali negli oceani, stoccato nelle miniere abbandonate e con una moltiplicazione ossessiva di professioni collegate alle energie rinnovabili, agli esperti, ai verificatori, ai bollini professionali, a persone addette ai controlli immaginate a milioni e milioni di unità quando, al momento, appaiono solo fiorenti clientele di piccoli numeri e di tecnologie ancora sperimentali, che dovrebbero prendere il luogo ed il posto, nell’occupazione e nella produzione, delle industrie metalmeccaniche, delle industrie siderurgiche, delle industrie carbonifere, delle industrie dell’edilizia e delle industrie automobilistiche, ecc. Scopo di questo intervento è dunque quello di far gettare la maschera a quei presunti innocenti fautori del problema climatico che soprattutto a livello europeo pare – con la nomina dell’ultima ora, per la prima volta nella storia della Commissione esecutiva dell’Unione europea, di un nuovo Portafoglio, Climate action, affidato alla Commissaria danese Conie Hedegaard – siano decisi di avanzare a occhi chiusi verso un secondo smacco, generando una gigantesca spesa per piegare il clima secondo le proprie interpretazioni, assolutamente opinabili, anzi, probabilmente infondate.
(parte tratta da “il Giornale” di lunedì 8 febbraio 2010 in collaborazione con Giulio Cozzolaro)
Ricerca effettuata dal consigliere comunale Celestino Mazzon
Sono infatti le tesi del riscaldamento oggi destituite di ogni credibilità, vivendo ormai da mesi l’Europa geografica e l’emisfero nord del Continente americano una situazione di accentuato raffreddamento stagionale a cui ha fatto seguito la confutazione nei fatti degli annunci di scioglimento dei ghiacciai della calotta polare artica, estesa poi a quelli asiatici dell’Himalaja.
Tali smentite, avvenute nel corso della Conferenza di Copenhagen da parte dello stesso IPCC, hanno dunque, con qualche imbarazzato chiarimento, raffreddato i toni dei più catastrofismi climatologi.
Sempre da Copenhagen, o meglio dal cosiddetto climate gate, sono poi venute quelle evidenti prove che hanno reso chiaro a tutto il mondo che gli scienziato dell’Università britannica dell’East Anglia avevano manipolato i dati sulle variazioni della temperatura terrestre per rafforzare le tesi del forte riscaldamento del nostro Pianeta – studiosi, questi dell’East Anglia, tutti rei confessi di un gruppo di ricerca finanziato dall’ONU (IPCC) – fornendo così all’Herald Tribune del 14 dicembre 2009 l’occasione per rendere pubblica una documentazione impressionante di frodi nello sviluppo dell’energia rinnovabile eolica, in buona parte dell’Europa, compresa l’Italia. A tutto ciò si aggiunga poi che il 20 dicembre, sempre del 2009, il Daily Telegraph ha presentato uno sconcertante rapporto sui conflitti d’interesse del dottor Rajendra Pachauri, lo stesso che aveva definito le obiezioni degli scienziati al global warming “frutto di una scienza voodoo”, evidenziando come questo non solo sia presidente della Commissione IPCC, ma che anche si presti quale consulente per numerose organizzazioni pubbliche e imprese industriali impegnate nella promozione delle energie rinnovabili, o per meglio dire della cosiddetta industria del clima.
Sono così emersi interessi di banche e fondi di investimento che soltanto in India valgono oltre trenta miliardi di euro e che dipendono dalle scelte e dalle decisioni della Commissione dell’ONU presieduta dallo stesso Pachauri.
Pertanto, più che una questione climatica è una questione di mercati contesi in cui di recente pare essersi immesso un free rider.
Su questo treno in corsa è infatti salito, senza pagare il biglietto, lo sceicco del terrore, che con un’abile mossa mediatica ha lanciato un seducente appello per tutti quei fondamentalisti verdi che odiano l’occidente, aprendo così i suoi ranghi anche ai laici miscredenti.
È infatti certamente non religiosa la ricetta proposta da Osama Bin Laden per far fronte ai cambiamenti climatici indotti dall’industria occidentale, in quanto viene proposta una economia che si discosti il più possibile da quella basata sul dollaro.
Avvertendo la difficoltà di condurre con profitto la sua guerra, Al Qaida decide dunque, con tale messaggio, di rafforzare la sua ideologia e al contempo di aprire un nuovo fronte bellico, quello economico. In tale contesto diviene di grande attualità ricordare l’analisi deontologico-politica svolta dal presidente della Repubblica ceca Vaclav Klaus nel suo saggio “Pianeta blu, non verde”, in cui si evidenzia come il problema più che ambientale o climatico sia incentrato sulle libertà che vengono erose da pretese fondate su false ideologie.
Con ciò si cerca pertanto di legittimare tutte quelle nuove imposte ambientali che difficilmente si armonizzerebbero con un sistema tributario incentrato sul principio di capacità contributiva. È infatti in questo momento il settore energetico-climatico unanimemente inteso dagli ordinamenti come una zona su cui esercitare una creatività fiscale e al contempo degno di canali di investimento privilegiati, sempre da un punto di vista fiscale, senza troppo preoccuparsi se queste tecnologie verdi siano effettivamente un buon affare e se siano questi i tempi migliori per schierarsi così drasticamente rispetto a un solo settore economico senza considerare il momento di generale e grave crisi dell’intero sistema economico.
Così facendo si è dunque inventata la green industy fatta, per il momento, di reti intelligenti (smartgrid), di surplus CO2 captato con flotte navali negli oceani, stoccato nelle miniere abbandonate e con una moltiplicazione ossessiva di professioni collegate alle energie rinnovabili, agli esperti, ai verificatori, ai bollini professionali, a persone addette ai controlli immaginate a milioni e milioni di unità quando, al momento, appaiono solo fiorenti clientele di piccoli numeri e di tecnologie ancora sperimentali, che dovrebbero prendere il luogo ed il posto, nell’occupazione e nella produzione, delle industrie metalmeccaniche, delle industrie siderurgiche, delle industrie carbonifere, delle industrie dell’edilizia e delle industrie automobilistiche, ecc. Scopo di questo intervento è dunque quello di far gettare la maschera a quei presunti innocenti fautori del problema climatico che soprattutto a livello europeo pare – con la nomina dell’ultima ora, per la prima volta nella storia della Commissione esecutiva dell’Unione europea, di un nuovo Portafoglio, Climate action, affidato alla Commissaria danese Conie Hedegaard – siano decisi di avanzare a occhi chiusi verso un secondo smacco, generando una gigantesca spesa per piegare il clima secondo le proprie interpretazioni, assolutamente opinabili, anzi, probabilmente infondate.
(parte tratta da “il Giornale” di lunedì 8 febbraio 2010 in collaborazione con Giulio Cozzolaro)
Ricerca effettuata dal consigliere comunale Celestino Mazzon
sabato 9 gennaio 2010
RISCALDAMENTO GLOBALE 2: l’uomo che fa i miliardi con le balle sul clima
Il Daily Telegraph ha pubblicato una inchiesta a firma di Christopher Booker e Richard North lo scorso 20 dicembre 2009 che riguarda Rajendra Pachauri (foto), ovvero l’uomo che sta costringendo il pianeta a tirare la cinghia per via del clima. L’ex ingegnere ferroviario Pachauri è infatti Presidente dell’IPCC (la commissione Onu sui cambiamenti climatici) e principale ispiratore del recente vertice di Copenaghen.
La dettagliata inchiesta punta il dito su un conflitto di interessi, un intreccio mondiale di affari i cui galattici guadagni in termini di migliaia di miliardi di dollari dipendono dalle politiche suggerite dall’IPCC. Si parla di banche, aziende dell’energia, fondi di investimento implicati nel mercato, in vorticosa crescita, delle emissioni e delle c.d. tecnologie sostenibili. E Pachauri è direttore o consigliere in almeno una ventina di enti leader in quella che ormai è una vera e propria industria del clima.
La vicenda viene a galla il 15 dicembre 2009, quando una lettera aperta viene consegnata a tutte le delegazioni nazionali presenti a Copenhagen e allo stesso Pachauri. Firmata dal senatore australiano Stephen Fielding e dal britannico lord Christopher Monckton, due “scettici del clima” di tutto rispetto date le loro entrature politiche (anche a Washington). Nella lettera, oltre a mettere in dubbio l’onestà scientifica del rapporto 2007 dell’IPCC, si chiede l’allontanamento di Pachauri per palese conflitto di interessi. Egli è infatti direttore generale del TERI (The energy research institute) di Delhi, nato dal TATA Group, massimo impero affaristico indiano (acciaio, auto, energia, chimica, telecomunicazioni, assicurazioni; possiede anche la principale acciaieria inglese, nonché Jaguar e Land Rover). Il TATA ha peso anche politico in India, tant’è che lo spazio per le sue miniere di ferro e acciaierie è stato trovato sloggiando centinaia di migliaia di tribali dell’Orissia e dello Jatkhand. Sarà un caso, ma i pogrom induisti contro i cristiani sono avvenuti proprio da quelle parti (il cristianesimo si diffonde a macchia d’olio proprio fra i tribali, l’ultimo gradino della società indiana; si tratta di gente che, grazie alle scuole cristiane, ha imparato a difendere i propri diritti, cosa che disturba non poco quanti erano abituati da sempre a sfruttarli).
Pachauri, che oggi lotta contro i combustibili fossili, fino al 2003 era direttore dell’immane India Oil; due anni dopo fondava la texana GloriOil, specializzata nello spremere fino all’ultima goccia pozzi petroliferi dati per esauriti.
Nel 1997 diventa uno dei vicepresidenti dell’IPCC e la TERI comincia ad allargarsi alle tecnologie rinnovabili/sostenibili, mentre il TATA Group investe nell’eolico. La TERI ha filiali in tutto il mondo. Il ramo europeo, via Londra, porta avanti un progetto sulle bioenergie finanziato dalla Ue. Un altro progetto studia il modo in cui le assicurazioni indiane (tra cui la Tata) possano trarre profitto dai rischi legati ai cambiamenti climatici. Pachauri presiede anche una non-profit (sede a Washington, a metà strada tra Casa Bianca e Campidoglio) il cui scopo dichiarato è fare lobbying riguardo alle decisioni sui problemi energetici e ambientali del terzomondo; finanziatori: Onu, governo Usa e suoi appaltatori della difesa, Amoco (petrolio), Monsanto (ogm), Wwf (la cui cassa è riempita anche dalla Ue), eccetera.
Ancora: la TATA indiana fa affari col c.d. “carbon trading” (mercato mondiale compravendita diritti di emissioni CO2), gran parte del quale è gestito dall’Onu ai sensi del famigerato Protocollo di Kyoto. E Pachauri fa parte del Consiglio della Borsa del Clima di Chicago, la maggiore borsa di scambi di diritti di emissioni.
Dal 2007 siede anche in Consiglio della Siderian, sede a San Francisco, specializzata in “tecnologie sostenibili”. Nel 2008 eccolo nel Consiglio per l’energia rinnovabile e sostenibile del Credit Suisse e della Rockefeller Foundation.
Ma non è finita: entra nel Consiglio della Banca Nordic Glitnir quando questa lancia un Fondo per il Futuro Sostenibile; diventa presidente del Fondo per le infrastrutture sostenibili dell’Indonesia, direttore dell’International risk governance council di Ginevra che promuove le “bio-energie”; nel 2009 è “consigliere strategico del Fondo di investimenti Pegasus (New York) nonché presidente del Consiglio dell’Asian development bank.
Tutto qui? Macché. Capo dell’Istituto per il clima e l’energia dell’Università di Yale, membro del Consiglio sul cambiamento climatico della Deutsche Bank, direttore dell’Istituto giapponese per le Strategie globali sull’ambiente. Fino a poco tempo fa era pure consigliere della Toyota e delle ferrovie francesi. In India è, naturalmente, una star: occupa posizioni accademiche (ventidue libri al suo attivo) e in vari organismi governativi, tra cui la Consulta economica del premier. Poi, a Copenhagen, a bacchettare gli occidentali: più aiuti affinché i Paesi in via di sviluppo come l’India prendano la via “ecologica”.
E, come sappiamo, (Sunday Times, 13 dicembre 2009), la Tata indiana trasferisce una bella fetta di produzione in Orissa, guadagnando miliardi in “crediti alle emissioni” (da vendere a quei Paesi sviluppati che ne abbisognano per “coprire” ciò che “emettono” oltre il limite previsto dagli accordi internazionali.
Pachauri, nelle sue conferenze danesi, ha invitato a limitare i consumi di carne (gli animali “emettono” flatulenze al metano, compresi i 400 milioni di vacche sacre indiane), ad abolire il ghiaccio nei ristoranti e tassare (tramite contatore) l’aria condizionata nelle stanze d’albergo.
Ci si chiede: quant’è lo stipendio complessivo di Pachauri? Non si sa.
Tace l’Onu, tace la Teri e pure la Tata. Ovviamente, la domanda numero uno rimane quella relativa al rapporto intercorrente tra tutte le sue cariche ed il ruolo di spicco nell’IPCC. Già, perché la Teri è anche in lizza per un succoso appalto: il Kuwait ha da rimediare ai disastri inferti da Saddam nel 1991 ai campi petroliferi. Il costo è a carico dell’Onu, che già due volte ha firmato contratti con la Teri. La quale è anche partner della Ue in una dozzina di progetti miranti a contenere quel “riscaldamento globale” predetto dal solito IPCC.
(parte tratta da “il Giornale” di giovedì 7 gennaio 2009 a firma di Rino Cammilleri)
Ricerca effettuata dal consigliere comunale Celestino Mazzon
La dettagliata inchiesta punta il dito su un conflitto di interessi, un intreccio mondiale di affari i cui galattici guadagni in termini di migliaia di miliardi di dollari dipendono dalle politiche suggerite dall’IPCC. Si parla di banche, aziende dell’energia, fondi di investimento implicati nel mercato, in vorticosa crescita, delle emissioni e delle c.d. tecnologie sostenibili. E Pachauri è direttore o consigliere in almeno una ventina di enti leader in quella che ormai è una vera e propria industria del clima.
La vicenda viene a galla il 15 dicembre 2009, quando una lettera aperta viene consegnata a tutte le delegazioni nazionali presenti a Copenhagen e allo stesso Pachauri. Firmata dal senatore australiano Stephen Fielding e dal britannico lord Christopher Monckton, due “scettici del clima” di tutto rispetto date le loro entrature politiche (anche a Washington). Nella lettera, oltre a mettere in dubbio l’onestà scientifica del rapporto 2007 dell’IPCC, si chiede l’allontanamento di Pachauri per palese conflitto di interessi. Egli è infatti direttore generale del TERI (The energy research institute) di Delhi, nato dal TATA Group, massimo impero affaristico indiano (acciaio, auto, energia, chimica, telecomunicazioni, assicurazioni; possiede anche la principale acciaieria inglese, nonché Jaguar e Land Rover). Il TATA ha peso anche politico in India, tant’è che lo spazio per le sue miniere di ferro e acciaierie è stato trovato sloggiando centinaia di migliaia di tribali dell’Orissia e dello Jatkhand. Sarà un caso, ma i pogrom induisti contro i cristiani sono avvenuti proprio da quelle parti (il cristianesimo si diffonde a macchia d’olio proprio fra i tribali, l’ultimo gradino della società indiana; si tratta di gente che, grazie alle scuole cristiane, ha imparato a difendere i propri diritti, cosa che disturba non poco quanti erano abituati da sempre a sfruttarli).
Pachauri, che oggi lotta contro i combustibili fossili, fino al 2003 era direttore dell’immane India Oil; due anni dopo fondava la texana GloriOil, specializzata nello spremere fino all’ultima goccia pozzi petroliferi dati per esauriti.
Nel 1997 diventa uno dei vicepresidenti dell’IPCC e la TERI comincia ad allargarsi alle tecnologie rinnovabili/sostenibili, mentre il TATA Group investe nell’eolico. La TERI ha filiali in tutto il mondo. Il ramo europeo, via Londra, porta avanti un progetto sulle bioenergie finanziato dalla Ue. Un altro progetto studia il modo in cui le assicurazioni indiane (tra cui la Tata) possano trarre profitto dai rischi legati ai cambiamenti climatici. Pachauri presiede anche una non-profit (sede a Washington, a metà strada tra Casa Bianca e Campidoglio) il cui scopo dichiarato è fare lobbying riguardo alle decisioni sui problemi energetici e ambientali del terzomondo; finanziatori: Onu, governo Usa e suoi appaltatori della difesa, Amoco (petrolio), Monsanto (ogm), Wwf (la cui cassa è riempita anche dalla Ue), eccetera.
Ancora: la TATA indiana fa affari col c.d. “carbon trading” (mercato mondiale compravendita diritti di emissioni CO2), gran parte del quale è gestito dall’Onu ai sensi del famigerato Protocollo di Kyoto. E Pachauri fa parte del Consiglio della Borsa del Clima di Chicago, la maggiore borsa di scambi di diritti di emissioni.
Dal 2007 siede anche in Consiglio della Siderian, sede a San Francisco, specializzata in “tecnologie sostenibili”. Nel 2008 eccolo nel Consiglio per l’energia rinnovabile e sostenibile del Credit Suisse e della Rockefeller Foundation.
Ma non è finita: entra nel Consiglio della Banca Nordic Glitnir quando questa lancia un Fondo per il Futuro Sostenibile; diventa presidente del Fondo per le infrastrutture sostenibili dell’Indonesia, direttore dell’International risk governance council di Ginevra che promuove le “bio-energie”; nel 2009 è “consigliere strategico del Fondo di investimenti Pegasus (New York) nonché presidente del Consiglio dell’Asian development bank.
Tutto qui? Macché. Capo dell’Istituto per il clima e l’energia dell’Università di Yale, membro del Consiglio sul cambiamento climatico della Deutsche Bank, direttore dell’Istituto giapponese per le Strategie globali sull’ambiente. Fino a poco tempo fa era pure consigliere della Toyota e delle ferrovie francesi. In India è, naturalmente, una star: occupa posizioni accademiche (ventidue libri al suo attivo) e in vari organismi governativi, tra cui la Consulta economica del premier. Poi, a Copenhagen, a bacchettare gli occidentali: più aiuti affinché i Paesi in via di sviluppo come l’India prendano la via “ecologica”.
E, come sappiamo, (Sunday Times, 13 dicembre 2009), la Tata indiana trasferisce una bella fetta di produzione in Orissa, guadagnando miliardi in “crediti alle emissioni” (da vendere a quei Paesi sviluppati che ne abbisognano per “coprire” ciò che “emettono” oltre il limite previsto dagli accordi internazionali.
Pachauri, nelle sue conferenze danesi, ha invitato a limitare i consumi di carne (gli animali “emettono” flatulenze al metano, compresi i 400 milioni di vacche sacre indiane), ad abolire il ghiaccio nei ristoranti e tassare (tramite contatore) l’aria condizionata nelle stanze d’albergo.
Ci si chiede: quant’è lo stipendio complessivo di Pachauri? Non si sa.
Tace l’Onu, tace la Teri e pure la Tata. Ovviamente, la domanda numero uno rimane quella relativa al rapporto intercorrente tra tutte le sue cariche ed il ruolo di spicco nell’IPCC. Già, perché la Teri è anche in lizza per un succoso appalto: il Kuwait ha da rimediare ai disastri inferti da Saddam nel 1991 ai campi petroliferi. Il costo è a carico dell’Onu, che già due volte ha firmato contratti con la Teri. La quale è anche partner della Ue in una dozzina di progetti miranti a contenere quel “riscaldamento globale” predetto dal solito IPCC.
(parte tratta da “il Giornale” di giovedì 7 gennaio 2009 a firma di Rino Cammilleri)
Ricerca effettuata dal consigliere comunale Celestino Mazzon
lunedì 4 gennaio 2010
RISCALDAMENTO GLOBALE: perché non decolla il Protocollo di Kyoto
150
il pianeta non si sta riscaldando da 150 anni come sostengono gli ambientalisti, ma da ben 400 anni
6.000
il pianeta fu più caldo di oggi in passato (ad esempio 6.000 anni fa e 1.000 anni fa). E' la riprova che l'uomo è "innocente"
31.000
Il numero degli scienziati che contestano i risultati a cui sono giunti gli studiosi finanziati dalla Fondazione Al Gore
700
Le pagine che compongono il rapporto "Climate change reconsidered" (Heartland Institute editore, 2009)
il pianeta non si sta riscaldando da 150 anni come sostengono gli ambientalisti, ma da ben 400 anni
6.000
il pianeta fu più caldo di oggi in passato (ad esempio 6.000 anni fa e 1.000 anni fa). E' la riprova che l'uomo è "innocente"
31.000
Il numero degli scienziati che contestano i risultati a cui sono giunti gli studiosi finanziati dalla Fondazione Al Gore
700
Le pagine che compongono il rapporto "Climate change reconsidered" (Heartland Institute editore, 2009)
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